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Quando ricevo un libro mi piace rigirarmelo fra le mani, per dritto e per rovescio, la copertina e l’indice, esergo e fotografie se ci sono, le dediche e i ringraziamenti. Soglie che preparano l’ingresso. Qui sono subito colpita dalle due foto. In fondo al libro un ritratto proustiano: il volto dell’autore con il suo gatto già allude agli enigmi del mondo animale, che stranamente possiamo toccare, accarezzare, stabilendo contatti ineffabili e bellissimi. Ed eccolo lì il caos del mondo, il fluire senza contorni precisi della materia, trattenuto in un istante in cui l’occhio sottrae la quotidianità alle forme abituali, creando l’illusione di sfiorare un oltre, come potrebbe fare un pittore con il suo pennello. L’immagine si addice al titolo, lo riscalda, lo infiamma, prelude all’esergo, ci prepara al paradosso del discorso poetico, alla sfida di tradurre in parole quello che alle parole sembra sottrarsi. L’amore è l’unica ispirazione: non è un inizio ma l’esito estremo di una spoliazione. Lo leggo sentendo echeggiare le parole di Paolo di Tarso. Alla fine rimane la carità, traduzione cristiana dell’amore che tutti e tutto comprende, non solo la persona amata. Mistero dei misteri, forse l’unico in cui ci è dato di affondare. Saliti i gradini, la soglia vera e propria è la poesia d’ingresso, emblematica dei versi che seguiranno. L’io lirico non sceglie il luogo, non si è proposto una meta, ma viene portato – da un disegno più grande di lui, o dall’inconscio, similmente a quanto accade in sogno, dove i dati reali si scompongono e si ricompongono in modo da suscitare meraviglia e sgomento. Come facciamo a figurarci un lago senza rive? Ciò che è impossibile all’immaginazione si prova a pronunciarlo, costruendo un’immagine che può aver luogo soltanto nella nostra interiorità. Nel cavo vuoto del vero ascolto, solo lì, il silenzio suggerisce la parola salvezza – un vibrare appena, un alito, che assomiglia alla brezza leggera in cui Dio si nasconde per passare vicino al profeta Elia. Più avanti, attraversando una simile avventura, la parola può farsi prendere. Generosamente dichiarata, quella e non un’altra. Deposte le armi dell’ironia, del cinismo, del materialismo a tutti i costi, della ricerca stilistica esasperata, dell’oscurità voluta. A piene mani si dà la parola, dalla terra al cielo, dalla scienza alla filosofia, rasentando la teologia e le domande ultime. Sentiero intravisto di versi che verranno dopo questo libro, continuandone il cammino. Devozione alla letteratura come vita, e alla vita che si lascia trasfigurare dai simboli dentro la sua pelle e la sua anima. E possibilità di fratellanza dentro questa rete che è una trama di unione e non di divisione. Che raccoglie chi cade, chi è solo, chi non spera, creando sponde e rive dove si infrangono dolcemente le onde più minacciose.

 

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 Franca Alaimo - 24/03/2017 23:22:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Più che una lettura dei testi, quella della Maiorino sembra l’individuazione di un’essenza comune al movimento della poesia nel cuore e nella mente d chi la scrive. In sostanza, nel mettere a fuoco l’animus o l’anima dell’autore Maggiani, la scrittrice considera il mistero stesso dell’essere interpreti dell’indicibile.

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